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DSC08327…”E’ un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in strada e e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto inmare. Non c’è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l’altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l’oceano.

Eccovi dunque la città insulare dei Manhattanesi circondata da banchine, come le isole indiane da barriere di corallo: il commercio la cinge con la sua risacca. A destra e a sinistra le vie vi conducono al mare. Il suo punto più centrale è il Bastione, dove quella mole illustre è ventilata dalle brezze e bagnata dalle onde che poche ore prima erano fuori vista da terra. Guardate la folla dei contemplatori dell’acqua.

Andate in giro per la città in un sognante pomeriggio del Sabato. Andate da Corlears Hook a Coenties Slip e di là, lungo Whitehall, verso il nord. Che cosa vedete? Fissi, come le sentinelle silenziose, tutto intorno alla città, stanno migliaia e migliaia di mortali perduti in fantasticherie oceaniche. Alcuni appoggiati a una palizzata, altri seduti sulle testate dei moli, altri che guardano oltre le murate di navi che provengono dalla Cina e altri arriva, nell’attrezzatura, come se si sforzassero di gettare un’occhiata ancor più vasta, verso il mare. Ma tutti costoro son gente di terra; rinchiusi, nei giorni feriali, negli steccati, legati ai banchi, inchiodati ai sedili, avvinti alle scrivanie. Come va dunque? Sono scomparse tutte le verdi campagna? Che cosa fanno qui costoro?

Ma, ecco! ecco che giungono altri gruppi, che van dritti all’acqua e con l’intenzione, pare, di un tuffo. Strano! Nulla li soddisfa, se non il limite estremmo della terraferma; gironzolare all’ombroso sottovento di quei magazzini non basta. No. Bisogna ch’essi s’avvicinino all’acqua quant’è possibile senza caderci dentro. Ed eccoli là fermi, per miglia e miglia, per leghe. Gente dell’interno tutti, vengono da viottoli e da vicoli, da vie e da corsi, dal nord, dal sud, dall’est e dall’ovest. E pure qui s’uniscono tutti. Ditemi, forse il potere magnetico degli aghi delle bussole di tutte quelle navi li attira qua?

Ancora. voi siete in campagna, su qualche altopiano lacustre. Prendete qualsiasi sentiero vi piaccia e, nove volte su dieci, questo vi conduce in una valle e vi lascia lì, accantoa uno stagno formato dalla corrente. C’è del magico in questo. Che il più distratto degli uomini sia immerso nelle sue più profonde fantasticherie: mettet quest’uomo in piedi, fategli muovere le gambe, ed egli, infallibilmente, vi ocndurrà all’acqua, se acqua c’è in tutta la regione. Se vi succedesse mai di restare assetati nel gran Deserto americano, provate l’esperimento, dato che la vostra carovana sia evantualmentedi un professore di metafisica. Sì, come ciascuno sa, acqua e meditazione sono sposate per sempre.

Ma prendete un artista. Egli desidera dipingere il più sognante, il più ombroso, il più tranquillo, il più incantevole paesaggio romantico di tutta la vallata del Saco. Qual è l’elemento essenziale che adopera? Ecco i suoi alberi, ciascuno col tronco cavo, come se dentro ci fossero un eremita e un crocefisso; ecco, qui dorme il praticello e lì dorme il gregge, e su da quella casetta s’innalza un fumo sonnacchioso. Lontano, in remote boscaglie, si sprofonda una strada serpeggiante, fino ai sovrastanti speroni di monti immersi nell’azzurro dlle loro coste. ma per quanto la scena giacciacosì estatica e il pino scuota giù i suoi sospiri, come le foglie, sulla testa del pastore, tutto sarebbe invano, se l’occhio del pastore non fissasse la magica corrente che ha davanti. Andate a visitare le Praterie in giugno, quando, per ventine di miglia, voi sprofondate fino al ginocchio nei gigli tigrati: qual è l’unica dolcezza che manca? L’acqua: non c’è una goccia d’acqua in quei luoghi! Se il Niagara fosse soltanto una cascata di sabbia, lo fareste voi quel viaggiodi mille miglia per andarloo a vedere? Perch’è il povero poeta del Tennessee, ricevendo improvvisamente due manciate d’argento, stette a deliberare se comprarsi un vestito, di cui aveva terribilmente bisogno, o investire il denaro in un viaggio a piedi fino alla spiaggia del Rockaway? Perchè quasi ogni ragazzo sano e robusto, che abbia dentro di sè uno spirito sano e robusto, prima o poi ammattisce dalla voglia di mettersi in mare? Perchè, al tempo del vostro primo viaggio come passeggero, avete sentito in voi un brivido mistico, non appena vi hanno detto che la nave e voi stesso eravate fuori vista da terra? Perchè gli antichi Persiani tenevano il mare per sacro? Perchè i Greci gli fissarono un dio a parte, e fratello di Giove? Certamente ciò non è senza significato. e ancora più profondo di significato è quel racconto di Narciso che, non potendo stringere l’immagine tormentosa e soave che vedeva nella fonte, vi si tuffò e annegò. ma quella stessa immagine npo la vediamo in tutti i fiumi e negli oceani. Essa è l’immagine dell’inafferabile fantasma della vita; e questo è la chiave di tutto.”

Da “Moby Dick” di H. Melville (1851), Capitolo I